🟧IVAN CACCAVALE 🟧testo critico per Carla Patella 🟧Grazie❣️🟧

Anno 2023


Rivolgendo lo sguardo alle pagine non troppo distanti della storia, quelle riguardanti il periodo della cosiddetta “Belle Époque”, si assiste al bisogno, sempre più impellente, da parte della donna, di un peso, di un riconoscimento, di un valore sociale; esigenze, queste, spesso concretizzatesi, in campo artistico, sotto forma di ritratti su commissione. Vengono sicuramente in mente le raffigurazioni nervose e dinamiche di Giovanni Boldini, colto esteta e interprete d’eccezione delle ambizioni, delle esigenze di una clientela che è pronto ad assecondare, se non a lusingare.
Stessa atmosfera si respira nelle rarefatte rappresentazioni di Tamara De Lempicka, i cui personaggi, algidi e inarrivabili, sono bramosi di dimostrare un certo status sociale; ciò a supporto di una vera e propria propaganda il cui esempio più celebre è l’ Autoritratto sulla Bugatti verde, che suona come una consacrazione di e a sé stessa: la polacca è infatti l’unica signora dell’arte della sua epoca a conoscere il successo, è la “Venere moderna” capace di non cedere alle avances del Vate, l’uomo più chiacchierato e affascinante di inizio Novecento.
Come la Lempicka, anche Carla Patella sceglie come soggetto privilegiato il genere sessuale di appartenenza; ella, tuttavia, ricusa la mondanità, quella vena secolaresca di un’epoca forse civettuola, forse salottiera, per approdare ad una tipizzazione atemporale.
Essere una donna che dipinge altre donne fa in modo che emerga, in questo caso specifico, un certo trasporto emotivo, una cognizione di causa tangibile. È, questa, una precisazione necessaria in riferimento al suo repertorio pittorico, una chiave di lettura indispensabile per la comprensione della sua figura.
Ciò che colpisce, in taluni casi, è la disinvoltura, l’inconsapevolezza dei soggetti ritratti, qualità in virtù della quale essi appaiono circonfusi di un’aura di purezza, non nel senso prettamente morale del termine: piuttosto una purezza da intendersi come assenza di contaminazione, di influenza sociale.
I dipinti dell’artista bolognese hanno quindi un valore universale: ella rifiuta la contingenza storica in cui è inserita, che sembra non essergli propria, per rifugiarsi in un contesto che, quando non è senza tempo, sorride ad ambientazioni remote, arcadiche.
Ecco dunque flussi di immagini mentali susseguirsi davanti ad occhi trasognati e trasognanti: un vero e proprio abbandono alla fantasia. Affiorano, in siffatte orchestrazioni, moti interiori innegabili, istanze emozionali; esse sono veicolate tramite l’apparato cromo – formale impiegato: gli azzurri freddi, i verdi sensuali diventano espressione delle pulsioni o degli intenti alti che si affastellano nell’essere umano sin dalla sua comparsa sulla Terra.
Nulla è teatralizzato o enfatizzato: la Bellezza regna per diritto divino, pervade la persona che la cristallizza, evolve da essa, fino a coinvolgere ed avvolgere colui che la ammira.
Anche nella trattazione del paesaggio, la composizione morfologica dei vari elementi risulta ovattata, tonda, delicata, con un processo di depurazione dei dati più didascalici: pertanto la poeticità di un luogo reale viene traslata sulla tela secondo un lessico i cui morfemi vanno a costituire un sistema che interpreta il Creato secondo accenti accorati.
Le risultanti sono opere veritiere, ma simultaneamente sospese, tipiche dello sguardo di un’autrice/spettatrice per cui il paesaggio antropizzato è il sogno di una perfetta convivenza tra Natura e Uomo.
Ivan Caccavale

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